GASTON



Gaston

|Paolo Dapporto|



Io e Gastone Nencini partimmo da Firenze per la Francia più o meno nella stessa settimana di fine giugno del 1960, lui per partecipare al Tour, io, diciott’anni non ancora compiuti, per togliermi di torno le solite facce. Feci l’autostop, perché i soldi che avevo in tasca non mi sarebbero bastati neppure per un biglietto di sola andata in terza classe. Dopo due giorni di vita sulla strada, con uno zainetto tipo militare sulle spalle, raggiunsi la Costa Azzurra, mentre Gastone arrivò a Lille, il punto di partenza del giro ciclistico più importante del mondo.

Dopo una rinfrescata nel mare azzurro di Montecarlo, mi misi alla ricerca di un lavoro, non un lavoro fisso, ma per un paio di mesi, fino alla riapertura della scuola. Pensavo fosse difficile, invece lo trovai subito, in un piccolo albergo, perché a Montecarlo d’estate c’era bisogno di persone giovani per i lavori più umili, come quelli che dovevo fare io: lavare i piatti e portare le valige dei clienti su e giù per le scale. Era un periodo fortunato di cui approfittare. Il giorno dopo, la stessa domenica in cui aveva inizio il Tour de France, trovai anche la ragazza. 

Pioveva come dio la mandava quella domenica pomeriggio. Mi ero appena affacciato fuori dall’albergo in una pausa di lavoro, quando vidi una ragazza che veniva su di corsa per la salita. Era bagnata fradicia. I capelli lucidi, lisciati dalla pioggia, la facevano somigliare alla Audrey Hepburn di “Colazione da Tiffany”. Appena mi passò davanti, le feci cenno di entrare dentro per ripararsi dalla pioggia. Lei sorrise. Com’era bella con quegli occhi neri e quelle labbra rosse, che non ce la facevano a nascondere del tutto un dentino leggermente scheggiato. 

Quando pioveva, io diventavo malinconico, romantico, bisognoso d’affetto. Le donne, quando trovano un’occasione così, ci si tuffano dentro. Christiane, parigina con tre settimane di ferie, l’occasione non se la fece scappare. Figuratevi se me la facevo scappare io, che sulla Costa Azzurra ero venuto sì per lavorare, ma soprattutto per trovare ragazze più disponibili del vuoto lasciato a casa.

Quando smise di piovere, la salutai con un bacio a stampo sulle labbra, un bacino carico di promesse, e un appuntamento sulla spiaggia per il pomeriggio del giorno dopo. Fu una notte agitata. 

Se anche il giorno dopo fosse stato brutto tempo? Se un bacino sulle labbra da quelle parti non avesse nessun valore, come da noi i bacini sulle guance?

La mattina dopo mi svegliò un raggio di sole impresso sulla fronte. La fortuna continuava a darmi una mano. Insaponavo e sciacquavo con allegria piatti, tazze, bicchieri e posate, sollevavo valige leggere come il mio spirito. Non vedevo l’ora che arrivasse il pomeriggio. Prima di scappare per l’appuntamento, passai dalla saletta tv che stava trasmettendo il giro di Francia. La tappa, una cronometro, era stata vinta da un francese, Roger Rivière, ma la maglia gialla, anche se il colore non si vedeva, l’aveva indossata fin dal primo giorno Gastone Nencini che sorrideva felice sul teleschermo. 

C’era anche Louis, il cuoco, davanti alla tv. Parlava un francese veloce, mangiandosi le parole, e per me era quasi impossibile capire quello che diceva. Voleva sapere chi fosse questo Nencini, che osava insidiare la posizione del suo ciclista preferito.

«È un corridore forte, fiorentino come me» gli risposi con orgoglio. 

Si fece una sonora risata: 

«Contro il nostro Rivière non c’è niente da fare.» 

E chi se ne frega, gli volevo rispondere. Nella testa avevo solo Christiane che mi aspettava sulla spiaggia.

Altro che valore quel bacino a stampo. Era stato solo un anticipo, una premessa. Ci stendemmo sulla spiaggia e ci finimmo di baci. Anche Christiane parlava veloce e non faceva che raccontare di sé, quasi non avesse aspettato altro che potersi sfogare con qualcuno. Io capivo il giusto, ogni tanto due o tre parole, come se lei parlasse al vento, che però quel pomeriggio non c’era. Mi stavo lo stesso innamorando del suo volto e del suo corpo minuto, come quello di una bambina. Ogni tanto cercavo di dire qualcosa anch’io.

«Cosa fai a Parigi?» domanda adatta al mio francese scolastico.

«Sono impiegata in un grande magazzino», mi pare mi dicesse Magazzini Printemps, «vicino alla Senna, e tu cosa fai?» 

Un colloquio di frasi scontate, smozzicate, a cui mettevo subito fine con un altro bacio. Lei aveva trovato posto all’ostello della gioventù di Cap d’Ail, situato proprio sulla riva del mare, molto vicino al Principato di Monaco. Ci si arrivava bene anche a piedi, sulla strada statale, oppure percorrendo una passeggiata sul mare, costruita sugli scogli. 

Io e Christiane la sera eravamo inseparabili. Andavamo a ballare alla Coquille, un locale all’aperto ricavato sugli scogli che frantumavano le onde. Il rumore del mare si mescolava alla musica con mirabile armonia. Christiane era innamorata delle canzoni di Gilbert Becaud. Me ne canticchiava sempre una, di cui andava pazza:

A Pâques ou la mi-câreme,/ quand je serai libéré,/ lorsque j’aurai fini ma peine, ah que j’irai  t’embrasser/ Marie, Marie,/ ecris donc plus souvent…. 

A fine serata la riaccompagnavo all’ostello, ma, prima di lasciarci, fermata d’obbligo sullo scoglio più liscio. In un armeggiare concitato di magliette, pantaloni, cerniere, bottoni, reggipetto e mutandine, non siamo mai riusciti a fare l’amore in modo completo. Il luccichio del plancton marino, esaltato dal buio della notte, favoriva i pensieri profondi, il tempo, la vita, la morte, l’amore, che finivano sempre con la stessa promessa: «Je ne t’oublierai jamais!»

Cominciavo a capire meglio il francese quando lo parlava Christiane. Mi raccontava dei suoi amori passati, ragazzi conosciuti al mare l’anno prima, un ragazzo di Parigi che non capivo bene se fosse una storia finita oppure ancora viva; e io? cosa le potevo raccontare io? Per non fare la figura del ragazzino imbranato, mi inventavo qualcosa, ingigantivo piccole storie, non solo finite male, ma quasi neppure cominciate.

Una sera alla Coquille venne anche Louis, che aveva rimorchiato Eliane, una bionda ricca di curve, sulla spiaggia di Montecarlo. Louis non era più un ragazzo, aveva quasi trent’anni. A Nancy,la sua città, lo aspettavano una moglie e un bambino, ma se gli capitavano delle occasioni non si tirava indietro. Dalle occhiate e i sorrisi che Louis rivolgeva a Christiane, non era difficile accorgersi che tra loro due viaggiava un fluido pronto a esplodere con un semplice fiammifero. A Louis sarebbe bastata una mossa per schiacciarmi come un moscerino e portarmi via Christiane. 

Cosa pretende questo piccolo italiano, di venire qui bello bello a fregarci le donne? 

Ma Louis non affondò il colpo e per quella sera si accontentò delle curve di Eliane.

Non ero stato più dietro al tour fino alla sesta tappa, quando si verificò un colpo di scena: una fuga di quattro corridori che staccarono di quasi quindici minuti il resto del gruppo. E tra i quattro corridori c’erano sia Nencini che Rivière. La tappa la vinse il francese e la maglia gialla andò a un corridore belga, un certo Adriaenssens, mai sentito nominare prima. Louis non era tranquillo e mi chiedeva spesso: «Ma chi è questo Nencini?» si capiva dal tono che gli faceva paura. Quattro giorni dopo, in una tappa di montagna, sui Pirenei, vinse ancora Rivière, ma Gastone riconquistò la maglia gialla.

«Questo tuo corridore sta attaccato al mio come una sanguisuga, sfrutta le sue ruote, non vince mai, ma si prende la maglia» mi gridava Louis. Cominciavo a capire meglio anche il suo francese. 

Io allargavo le braccia come a dire ognuno gioca le sue carte.

Io, più che al giro, pensavo a Christiane, agli sguardi di intesa tra lei e Louis alla Coquille. 

Abbassava gli occhi quando la guardavo. Non sembrava più innamorata come i primi giorni, anche se le nostre serate non erano cambiate. La sua faccia era una sfinge che non riuscivo a decifrare.

Il Tour de France ebbe un picco di interesse per una tragica caduta di Roger Rivière nella quattordicesima tappa, la Millau – Avignone. Il ciclista francese fu portato all’ospedale in prognosi riservata. Sembrava proprio che non ce la facesse a sopravvivere. A quel punto Gastone Nencini aveva strada libera per la vittoria finale. Louis stava continuamente davanti alla tv per le ultime notizie, che diventarono meno allarmanti. Pochi giorni dopo Rivière fu dichiarato fuori pericolo. 

Tirai anch’io un sospiro di sollievo. 

A Christiane, del tour, di Nencini, di Rivière, non importava nulla. Quelle poche volte che io gli parlavo di Gastone, che era di Firenze come me, sbuffava e cambiava discorso. 

«Cosa fa il tuo amico cuoco?» e allora il discorso lo cambiavo io.

Con Louis invece vivevo di luce e gloria riflesse. Era arrivato a chiamarmi Gaston, ma senza malizia: «Lo sai, Gaston, che la tua ragazza è proprio carina.» 

Capivo dal tono delle sue parole che non aveva intenzioni cattive. Mi lasciava campo libero, come Rivière a Nencini. Comunque, per sicurezza, alla Coquille non lo portai più.

Arrivò presto, troppo presto, la domenica finale che si portò via Christiane e il Tour de France, vinto senza più problemi da Gastone Nencini. Il nostro amore era durato quanto il giro, aveva seguito un’altalena di alti e bassi come le salite e le discese delle strade di Francia. Fu la domenica pomeriggio più triste della mia vita. Accompagnai Christiane al treno per il rito della separazione definitiva, un taglio di organi ancora vivi. 

Qualche settimana dopo, partii anch’io dalla stessa stazione, ma sull’altro binario, quello che riconduceva in Italia.

«Ciao Gaston» il saluto di Louis sotto la pensilina.

Di Christiane non ho saputo più nulla, perché non ha mai risposto alle lettere che le ho scritto. 

Forse si era rimessa con quel ragazzo di Parigi di cui mi aveva parlato spesso.

Gastone Nencini tornò a Firenze vincitore, ma quella fu la sua ultima vittoria importante. Fu dimenticato subito, come tutti i campioni dello sport. Si riparlò brevemente di lui solo il giorno della sua morte, avvenuta presto, troppo presto, a cinquant’anni di età.

A Roger Rivière andò ancora peggio. La caduta in quella drammatica tappa gli causò una paralisi alle gambe che determinò la fine della sua carriera ciclistica. Aveva appena compiuto quarant’anni quando lo colse la morte.


Firenze, dicembre 2011




Note biografiche:


Paolo Dapporto, nasce a Firenze nel 1942.
Professore universitario di Chimica presso Universita' di Firenze, da alcuni anni in pensione. Ha pubblicato libri di Chimica, una raccolta di racconti dal titolo "Frammenti di vetro" e un romanzo breve, "Yoana".



Nella Photo, Gastone Nencini in partenza dalla stazione di Santa Maria Novella di Firenze per il Tour de France del 1960.


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