GAUL SI E' CONCESSO UN LUSSO DA TURISTA...
di Bruno Raschi

TUTTOSPORT, venerdì 7 giugno 1957


Trento, 6 giugno





Erano da poco passate le 13 e ci si stava avvicinando a Brescia. La corsa, nel meriggio afoso, a marce basse, come pisolando al sole, quando fu scossa di colpo dal primo allarme.

Un motociclista della polizia, uno dei due che procede immediatamente il gruppo, incalzò le prime macchine con tutto il fiato della sirena, muovendo a vortice il braccio sinistro, quasi agitasse una frusta.

La corsa avvampò: alla prima sirena fecero eco tutte le sirene, tutti i clackson della carovana. Pareva l'allarme di un attacco aereo. Fu un arrembaggio solo: le auto si schierarono per superarsi, la gente che aspettava nella periferia della città si rifugiò di colpo sui marciapiedi, le mamme dalle finestre chiamarono, spaventati, i loro bambini.

La scena, nel suo colore, poteva somigliare a mille scene di tutti i giorni. Ma non era così. Si sapeva troppo bene prima di partire che oggi le sirene non avrebbero suonato per nulla; non avrebbero suonato per i primi in provvisoria libertà. Sinistro suono oggi, lo si sapeva prima.

Avevamo colto i segni di allarme prima di partire, nel prato dello stadio Sinigaglia, Gaul era arrivato molto per tempo, assai prima del solito. Era andato alla firma con gli occhi dispettosi, non aveva distribuito autografi e, anziché sedersi nel prato insieme agli altri, aveva chiesto la protezione a due agenti per farsi accompagnare fuori: <<Police, police!>> aveva chiamato sibilando il corridore.

Due poliziotti lo avevano preso in mezzo come un borsaiolo e lo avevano scortato fuori dallo stadio. Gaul, fuori, era misteriosamente scomparso. Tentammo di rintracciarlo, attraversammo un giardino, entrammo dentro un bar, scendemmo sino sull'orlo del lago. Deserto, nulla.

Dove era andato Gaul?

La sua bicicletta, con la sua borraccia, ricoperta di panno verde, era appoggiata alla macchina bianca e rossa della Casa e Guerra, lì accanto, col gomito sul cofano, le faceva la guardia. Rideva Guerra, col suo solito diplomatico sorriso celato dalle lenti nere.

-dove è andato? - domandammo - che cos'ha?

  • Nulla, proprio nulla, rispose Guerra. Per me è più di buon umore del solito.
  • Sente odor di polvere?
  • Si, rispose. Sento odor di polvere. Ma non vuol dire. Siamo qui per questo.

Sul prato dello stadio le maggiori feste erano per Nencini. Nencini era arrivato più elegante del solito, con i capelli lucidi di brillantina, la barba ben rasata. Scese sul campo in tuta azzurra e andò a fare una carezza alla bambina di Magni.

Bobet si fece precedere dal fratello Jean alla firma e si ritirò in un angolo a leggere il giornale. Più in là c'era Bartali che conversava a bassa voce con Geminiani. I corridori erano avidi di solitudine. Il più ciarlliero, come al solito, era Poblet al quale la popolarità non dà noia. Un giornalista di quelli più maliziosi degli altri, andò a chiedergli come mai ieri l'altro nell'ultima volata si era fatto battere da Rik. Diventò rosso, Poblet, e cercò di spiegarsi.

    - Potrai rifarti oggi – gli disse l'inquisitore per toglierlo d'imbarazzo.
Per carità – rispose Poblet – per carità. L'aria del Bondone non è fatta per me: l'anno passato ho guardato la montagna solo dal basso ma so bene come è fatta. Avevo le dita congelate.
E ne mostrò le cicatrici.

Poi guardò un attimo il sole.

Arrivò Fabbricon gli occhi ancora sbattuti dalla febbre, arrivò Boni con un braccio ingessato legato al collo con una benda. Magni l'osservò di lontano incredulo che al Giro ci fosse un altro toscano eguale a lui.

Sorrise come a una notizia inattesa, impossibile.

Coletto partiva con le lacrime agli occhi: sentiva la mestizia della sua giornata, sentiva che dopo qualche chilometro si sarebbe fatto da un lato per aspettare l'ambulanza. << la sella – pareva dire – a che mi serve la sella?>>.



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Torriani tolse il fischetto e disse ch'era ora d'andare.

Dai sotterranei dello stadio uscì fuori Gaul.

    - Eccolo! - mormorò Nencini additandolo ai suoi.
    - Coraggio, si comincia.

E si mosse la corsa in riva al lago placido e disteso, incrociato da vaporetti bianchi.

          - Che Dio t'aiuti – augurò una donna a Nencini sventolando un fazzoletto.

Nencini la ringraziò spiccando un bacio dalla punta della dita. I cartelli lungo la strada erano tutti per lui. <<Nencini - dicevano in retorici evviva – Nencini questa sera ti vogliamo maglia rosa!>>.

Un aereoplano disegnava brividi augurali sfiorando le acque del lago che all'orizzonte evaporavano al sole.

Per quasi cento chilometri la corsa indugiò in sospiri, assorbita dal verde della Brianza echeggiante bucolici versi. Luccicavano le biciclette in una danza di nuvolette bianche: ogni corridore era partito con il berrettino sugli occhi e la spugna umida dentro le tasche della maglia.

Trentacinque l'ora, preludio sordo del temporale. Verso le 13, come abbiamo detto, il tuono, il primo urlo di sirena.

La radio di bordo diffuse a parole lente il bollettino di guerra: << Il gruppo è teso - disse – la maglia rosa è staccata di cento metri>>.

Cercammo di guardare voltando il capo dal finestrino. Tre maglie bianche, una maglia azzurra ed una verde erano in cima alla fila tirata ad elastico: Baroni, Nencini, Tognaccini, Bobet, Baldini.

Pareva di vedere un treno, un elettromotore che trainava i vagoncini.

Dai trenta all'ora si balzò ai sessanta. I cento metri erano già diventati duecento.

Passavano come frecce i motociclisti a dar voce alle macchine. Uno ne fermammo per chiedere che cosa era successo.

    - La maglia rosa si è fermata... ad una siepe – disse passando. Il Giro ha preso fuoco.

L'informazione detta così destò molti sospetti. Per diversi minuti corsero da una macchina all'altra malvagie insinuazioni. S'udì parlare di tradimenti e di veleni.

Ma non era vero nulla.

Gaul, il distrattissimo Gaul era caduto nella rete da solo. Aveva creduto nella tregua, aveva posato un piede a terra; tutti e due anzi. Ernzer, ingenuo complice, s'era pure fermato a reggergli la bicicletta. Charly Gaul perdeva il Giro.

Guerra gli era giunto adosso urlando, ma troppo tardi. Bobet aveva visto e insieme a Baldini si era portato via tutta la corsa. Ernzer, Schellemberg, Ciampi, Fini, tutta la squadra si era messa agli ordini in un lampo, ma a ogni chilometro, a ogni stazione, il treno di gaul passava dopo il treno di Nencini e di Bobet.

La voce della radio scandiva ogni tanto i minuti con Charly Gaul, meno, uno me- voce monotona e uguale; no due, meno tre, meno quattro..

parevano i rintocchi di una agonia. A un certo punto si era appreso che tre belgi, Covreur, Janssens e

Sorgeloos, s'erano staccati dal gruppo dei fuggitivi e s'erano uniti a quello di Gaul.

  • Truppe di rinforzo – avevan detto i maligni – il gioco è sporco.

Nel gruppo con Gaul c'era anche Impanis invece e Impanis andava aiutato.

La corsa giunse sul Garda e infilò le galleria apparendo e scomparendo a una media che dava il brivido.

Pareva che il Giro procedesse al rullo dei tamburi.

Al rifornimento di Gavardo, tutti non colsero le musette e tiravano via senza acqua e senza pane. Tuscolano, Campione, Riva, videro passare la corsa con la velocità di un fotogramma. Fremevano gli ulivi, il vento del Garda cresceva d'impeto e piegava le lance dei pini in buffi inchini verso il lago.

Al bivio di Tione, Nencini rivide la strada che due anni fa l'aveva tradito: ora quella strada era la pista del suo trionfo. Ogni svolta un ricordo, un invito alla rivincita

Ad Arco si varcavano i confini del Trentino, della patria di Moser. Tutta la strada era un libro scritto, un libro d'evviva che si sfogliava sotto le ruote della nostra automobile.

Gaul era uscito alla caccia, aveva riguadagnato più d'un minuto e mezzo e pareva far credere ad un possibile miracolo. Guerra gli viaggiava a fianco, cercando di scandirgli il passo con il clacson dell'automobile.

Gaul non lo sentiva, sentiva solo il metronomo della propria furia e si lasciava tradire dal desiderio di sopravvivere. Era un impeto sfrenato, eccessivo.

  • Più piano!, c'è ancora il Bondone, tieni qualcosa per il Bondone...

Il vento gli portava via le parole. Gaul seminava uno a uno i pochi compagni che eran lì per aiutarlo; divorava la strada, Gaul, e andava a morire di ingordigia.

Quando si trovò ai piedi del Monte, solo all'ora si accorse di aver perduto e si rassegnò.

Guardò la cima fiorita di verde e soffocata dal sole e non la riconobbe più. Era poco oltre il nono chilometro, quando udì l'urlo della folla che dai prati, dai balconi, da sopra gli alberi, salutava Nencini maglia rosa. Guerra l'accompagnò fino al traguardo innestando la seconda. Lo scese di bicicletta e lo portò via.

La folla quasi non si era accorta di nulla.








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