SEMPLICEMENTE NENCINI
Semplicemente Nencini
di Bruno Confortini
Il “Leone del Mugello”,
“Mistero”, “Nuvola gialla”. In quanti modi è stato chiamato Gastone Nencini!
Nel ciclismo i soprannomi sono
baci lanciati dal ciglio della strada, sono dimostrazione d'affetto, di
passione e nello stesso tempo argute sintesi di caratteri e valori.
Il “Leone”: per la forza, il
coraggio, il carisma; qualità che
Gastone dimostrò sempre, nelle vittorie e nelle sconfitte, dalle quali emergeva
spesso come egualmente vincitore, moralmente vincitore, per la tenacia, la
ribellione indomita alle avversità, ai casi della corsa o degli uomini.
“Mistero”: per quell'essere
taciturno, un po' appartato, modesto. Ma ad indicarne forse la vera natura,
l'indole profonda, era il sorriso
solare, quando si spalancava, e una faccia bella come sono belle certe facce
belle, aperta, vera, sincera.
“Nuvola gialla”, lo chiamavano
così i francesi; come le nuvole veloci del cielo di Francia, anche Nencini si
mosse rapido e leggero da una parte all'altra della Grand Boucle, nel famoso
Tour del 1960, la maglia gialla sulle spalle. De Gaulle fermò la corsa per
complimentarsi con lui, e Jaques Goddet, il patron, lo definì “vincitore
magnifico.”
Un Giro d'Italia, nel 1957 e un
Tour de France, nel 1960. Dopo Bartali, Coppi, Koblet e Gaul, fu lui a riuscire
a conquistare le due più importanti corse a tappe del ciclismo internazionale.
Dopo di lui vfu la volta di Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinaul, Roche, Fignon,
Indurain, Pantani, Contador e Nibali. L'élite del ciclismo mondiale di ogni tempo.
“Chi pensi di essere, Coppi o
Bartali?” gli ripeteva suo padre Attilio, quando scoprì la passione di Gastone
per il ciclismo; “di quelli - gli diceva - ne nasce uno ogni cent'anni!”
Forse uno dei rimpianti di
Nencini fu proprio quello di non avere potuto dimostrare a suo padre, morto
prima dei suoi trionfi, che aveva torto, che anche il suo nome poteva stare a
buon diritto nei libri sacri del ciclismo internazionale.
E quante altre ne ha perse
Nencini di corse importanti, per un pelo, per sfortuna, per errori altrui.
Limitandosi al Giro, basta pensare al biennio 1954/1955.
Al primo anno da professionista,
con la Legano, Pavesi, l'avocato, suo diesse, lo fa fermare
mentre è nella fuga gusta con Clerici e Assirelli. Deve aiutare il capitano,
Minardi. E' il 27 Maggio. La tappa è la
Napoli – l'Aquila, e quella fuga mette fra sé e i migliori dai 30 ai 40 minuti!
E' opinione comune che quel Giro, senza il diktat di Pavesi, avrebbe potuto
vincerlo lui, non Clerici.
Un Giro che invece Nencini aveva
dominato in lungo e in largo e (quasi) già vinto e che invece perse, fu quello
del 1955.
Le Dolomiti sono finite, Nencini
ha il Giro in pugno. Manca solo la tappa di trasferimento da Trento a San
Pellegrino Terme. Per misteriosi motivi, Torriani introduce nel percorso un tratto di strada sterrata, un
ghiaione lungo chilometri. E per motivi ancor più misteriosi, il solo Magni
viene a saperlo, non essendo segnalato niente nel “garibaldi” che hanno in mano
le squadre, i ciclisti. Solo Magni e i suoi montano tubolari più spessi e non
forano. Gli altri, Nencini compreso, forano a decine, e più volte. Il caso, e
forse non solo il caso (si parlò di complotto, di agguato, di vergogna...)
avvelenò quella coda finale di Giro, e Nencini perse tutto. Vinse Magni,
aiutato da Coppi, che in corsa aveva giurato il contrario a Gastone. Parole al
vento.
Un'amarezza incredibile, una
ingiustizia sportiva fra le più clamorose del ciclisimo. Nencini la ricorderà
sempre, fino all'ultima sua intervista. Come scordarsela?
Dolce e indimenticabile come le
giuste rivincite, come il risarcimento di una avversa fortuna, arrivò il Giro
del 1957. C'era da battere Bobet e Gaul, mica scherzi. Fuoriclasse veri,
affermati, vincenti.
Gaul: chi poteva stare al suo
passo in salita? E arrivi in salita a quel
Giro ce n'erano, e tanti, e anche una cronometro in salita c'era, a
Bosco Chiesanuova. Bobet, già tre Tour vinti, vuole vincere anche il Giro,
vuole essere il primo francese a farlo.
A differenza degli italiani, che
sono divisi in squadre/azienda, l'un marchio contro l'altro armato, a Louison,
come agli altri stranieri, è stato possibile partecipare con le squadre
nazionali; e quella francese è fortissima.
Nencini poi parte male, dopo due
tappe ha già due minuti dai primi, una corsa velocissima da subito lo ha
sorpreso. Ma non si scoraggia, dimostra ottimismo, segno di buona salute. su
secondi e presto si capisce che sarà lotta a tre, lui contro il lussemburghese
e il francese.
Fa miracoli nella cronometro di
Forte dei Marmi, dove da sfavorito, guadagna su Bobet; vola, letteralmente
vola, nella discesa dal San Gran San Bernardo il 3 giugno: in nemmeno 30
chilometri riprende 3'35” ai francesi e a Gaul, che lo avevano staccato sulla
salita. A Martigny, quando se lo vedono arrivare, sono increduli. Ma come ha
fatto?
Nencini approfitta caparbiamente,
intelligentemente della guerra fra Gaul e Bobet.
E' questo un Giro passato alla storia per la famosa pipì
di Gaul. Quando durante la Como-Monte Bondone il campione lussemburghese si
ferma a Ospitaletto, da solo, senza squadra, a espletare i suoi fisiologici
bisogni, e viene subito, spietatamente attaccato dai francesi cui si accodano
gli italiani, Nencini fra loro. Sul Bondone, la sua salita. Gaul paga la lunga
rincorsa fatta quasi da solo in pianura, e tracolla. Nencini è maglia rosa.
Ormai il Giro è una questione fra lui e Bobet. I francesi tentano l'ultimo
assalto all'italiano nell'ultima tappa di montagna, da Trento a Levico Terme,
da scalare San Lugano, Rolle, Gobbera e Brocon. Nencini è attaccato
a fondo dai francesi fin dalla prima salita. Sul Passo Rolle Geminiani e Bobet
(virtuale maglia rosa) hanno 1' di vantaggio su Gaul e Nencini, ancora una
volta vittima di ripetute forature, con lo spettro di un'altra beffa, come nel
1955 dovuta a tubolari che si afflosciano. Ma anche Gaul, che lo precede di
poco, fora. I due si ritrovano sulla Gobbera e
vanno all'inseguimento dei francesi, con Gaul che fa l'andatura danzando
sui pedali, mentre Nencini lo segue sempre seduto sul sellino, di forza. L’
azione dei due è efficace, Bobet,
Geminiani, Baldini e Impanis vengono raggiunti. E sul Brocon, ultima salita
della giornata, Nencini non perde un metro. Al traguardo è incollato a Bobet, a
7” dal vincitore di tappa, Gaul. E' un trionfo, meritato, sacrosanto, dovuto.
Il trionfo della sua forza, della
sua intelligenza tattica, della sua tenacia, delle su discesa da paura. Lo
vince da sfavorito, quel Giro. Lo vince contro un percorso disegnato per altri,
che non gli si addice. Lo vince contro due campioni veri come
Bobet e Gaul. Lo vince contro una stampa che si aspetta altro e forse
vorrebbe altro. Lo vince con la media record ((che resisterà fino al 1983) di
37,488.
No, non è il Giro della pipì di
Gaul, è il Giro di Nencini, da scrivere a caratteri cubitali.
La consacrazione di un campione
vero.
Un uomo modesto, mai sopra le
righe. Teneva gli allori di una carriera in cantina, regalava agli amici le sue
maglie. Di tante, ne è rimaste una sola in casa Nencini. Nessuna vanità. Un uomo
raro.
Parlando con sua figlia
Elisabetta lo si conosce ancor meglio, ben oltre le salite e le discese, le
vittorie e le sconfitte. Un padre perso troppo presto ma che le ha lasciato
segni indelebili, insegnamenti profondi dietro alle rare parole.
A Elisabetta luccicano ancora gli
occhi quando ne parla.
Questa mostra, meritato e innamorato omaggio, ci restituisce l'uomo e
il campione.
L'uomo, che mai si scordò di
essere il giovane coraggioso e forte che sfidava la Sieve in piena.
Il campione, che vinse e stupì
sulle strade d'Europa.
Semplicemente, Nencini.
Semplicemente, Nencini, di Bruno Confortini, testo scritto per il catalogo pubblicato nell'occasione della mostra fotografica, Gastone Nencini la Forza e il Cuore a cura di Elisabetta Nencini inaugurata l'11 maggio 2017 al Palazzo del Pegaso , Firenze.
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