GASTONE NENCINI, l’angelo bianco e l’angelo nero
GASTONE
NENCINI
l’angelo bianco e l’angelo nero
l’angelo bianco e l’angelo nero
di Fabrizio Scheggi
In Mugello non
mancano certo campioni dello sport,
e questa volta voglio celebrarne uno sicuramente tra i più importanti; il ciclista Gastone Nencini. Consapevole che
la sua storia è già raccontata in diverse pubblicazioni, ne scrivo ugualmente sia
per quelli che non le hanno lette e anche nella convinzione di essere davanti a
un personaggio che merita il nostro continuo ricordo. Nato il 1° marzo 1930 nel
borghetto di Bilancino a due passi dalla villa medicea di Cafaggiolo (comune di
Barberino del Mugello), affrontò ancora ragazzino gli orrori della guerra. Cresciuto
in una famiglia dalle modeste possibilità, cominciò a guadagnarsi da vivere
scavando la rena in Sieve e comprandosi, con quei pochi soldi frutto del sudore,
una bicicletta. Attilio, suo padre, la prese per una fissa: “Chi ti credi di essere, Bartali? Di quelli ne
nasce uno ogni cent’anni!”. Però il nostro non si arrese anzi, nascose la
bicicletta da un amico e cominciò dal 1948 a frequentare di nascosto le gare da
dilettante. Il padre si accorse di tutto, però amorevolmente lo lasciò fare,
riconoscendo nel suo ragazzo una testardaggine “di famiglia”. Diventerà “Il leone del Mugello” per gli italiani e
“Nuvola gialla” per i francesi. Ma qui
voglio oggi rivelarvi un’inedita, sorprendente scoperta: la mistica presenza al
suo fianco, per tutta la vita, di un
angelo bianco e di un angelo nero. Eh sì, cari amici lettori, le cose
stanno proprio così. Dovete sapere che c’era davvero un invisibile angelo
bianco al suo fianco, quello della sua bontà, umiltà, coraggio, forza e
istinto; ma c’era pure un invisibile angelo nero che si travestiva da fatalità,
sfortuna o a volte tragedia. Gastone era discesista nato, spericolato al limite
dell’incoscienza, sempre protetto dal suo angelo bianco, ma sapeva difendersi
anche in salita. Quando era in forma, spingeva sui pedali sprigionando una
forza “primitiva” che metteva a disagio gli avversari, li lasciava senza fiato.
Imprevedibile perché istintivo, imponente nel fisico, aveva un carattere forte,
passionale; al tempo stesso sapeva essere modesto ed equilibrato. Arrivato il
successo, poteva avere tutto quello che desiderava; le ragazze lo ammiravano, ma
a lui che veniva dalla povertà e aveva imparato i veri valori della vita,
interessava ben altro. Così, Nencini si
sposò con una bella ragazza, Maria Pia, da cui ebbe dei figli formando una solida
e accogliente famiglia. Poteva avere amicizie, onori e gloria sportiva; lui, invece,
da uomo pratico e “di campagna”, faceva parlare la strada e il sudore. Si
vergognava dei complimenti, evitava di parlare delle vittorie. Teneva i trofei
–ha raccontato la figlia Elisabetta- in cantina sopra il frigorifero chiusi in
una scatola, le sue maglie spesso le regalava. Dopo aver sfiorato la vittoria
al campionato mondiale dilettanti, nel 1953 diventò professionista con la
Legnano. Al Giro d’Italia di due anni dopo si fece notare attaccando sempre,
com’era sua abitudine; a due giorni dal termine della corsa era maglia rosa.
Durante la tappa Trento-San Pellegrino Terme ecco però che comparve per la
prima volta l’angelo nero. Gastone forò in una strada sterrata, Coppi e Magni
lo raggiunsero e staccarono in salita quel giovane presuntuoso che aveva osato
sfidarli! Coppi vinse la tappa,
Magni conquistò il Giro, mentre a Nencini restarono il terzo posto e il
riconoscimento del suo valore. Due anni dopo, ecco la rivincita nel Giro del
1957. Secondo dietro Charly Gaul, ricordando la lezione ricevuta, affrontò il Monte
Bondone. Per i più distratti, faccio notare che questo monte si chiama proprio
come il padre di Giotto; chissà, forse quell’antico amico mugellano avrà fatto
una telefonata all’angelo bianco. Fatto sta che, con il “patrocinio” di Bondone, l’angelo benefico si destò e posò gli occhi
furbetti sul rivale Gaul a cui si gonfiò improvvisamente … la vescica! Costretto
a fermarsi per fare… quello che doveva fare, Nencini attaccò e nella discesa
del Sempione staccò tutti conquistando
la maglia rosa che portò fino a Milano. Anche al Tour de France vinse due
tappe, la seconda in maniera “leggendaria”. Il giorno precedente Nencini, per
colpa del solito angelo nero invidioso dei suoi successi, era caduto. Si
trattava di un infortunio serio, che portò febbre e dolori, che non lo fecero
dormire. La mattina dopo c’era un tappone tremendo: l'ascesa del Tourmalet. Nessuno
pensava che Gastone potesse partire; e invece, non solo si presentò, ma lasciò
tutti dietro le spalle, compreso il primo in classifica, Jacques Anquetil. Il
mugellano quel giorno restò a lungo in coda al gruppo acciaccato e solo con i
suoi tormenti; ormai era rassegnato al peggio. Quando all’improvviso, ecco comparire
dal nulla l’angelo bianco sotto forma di uno sconosciuto spuntato da dietro una
roccia. Lo incitava offrendo un po’ d’acqua… forse miracolosa? Non saprei dirvelo;
fatto sta che Nencini da quel momento non sentì più il dolore, recuperò le
forze, riprese il gruppo e staccò tutti. Quell’anno arrivò sesto al Tour e nono
alla Vuelta; solo lui e un altro atleta, in tutta la storia del ciclismo, sono
riusciti a terminare nello stesso anno i tre grandi giri nei primi dieci in
classifica.
Dopo aver aiutato Baldini a vincere il titolo iridato a Reims nel 1958, ecco un altro anno memorabile per Gastone.
Il Giro del 1960 gli sfugge per un soffio, e molti pensano alla sfortuna. Poveracci,
non conoscono, come noi, la storia dei due angeli. Sorretto dall’angelo bianco,
Nencini compie imprese memorabili, ma quando nella tappa decisiva se ne va, il
toscano Carlesi trascina Anquetil al recupero; il perfido angelo nero impedisce
che la notizia (ignorata da Radio
corsa) arrivi al nostro uomo. La mancata spinta sul finale del mugellano, che
si sentiva ormai sicuro, gli fece perdere il giro per 28 secondi! Un mese dopo,
nuova rivincita al Tour de France. Nencini scende in discesa a folle velocità;
il rivale francese, Roger Rivière, cerca di tenere il passo: impresa
impossibile. E qui i due angeli fanno un po’ di confusione. Quello bianco cerca
di ostacolare il francese; purtroppo, interviene l’angelo nero e il poveretto cade in un dirupo e si
ferisce gravemente. Non potendo ormai togliere la vittoria meritata a Nencini,
l’angelo malefico pensò così di renderla almeno più amara, meno gioiosa. Le
congratulazioni del Presidente francese Charles De Gaulle, che fermò la corsa
per rendere omaggio al “leone”, mitigarono solo parzialmente la tristezza per
quell’incidente. Disse De Gaulle: «Gastone
Nencini, fiorentino” (quasi, precisiamo noi!) “Parigi è ormai vostra.” E il nostro loquace conterraneo (che si era
preparato una bellissima frase) rispose solo: “Merci”. I francesi lo considerano il più grande discesista di sempre,
mentre gli italiani lo hanno un po’ dimenticato, distratti dal mito di Coppi e
Bartali. Eppure, Gastone aveva tutto per essere amato dalle folle, e la sua
classe cristallina meritava una lunga serie di trionfi. E’ vero, era
intollerante alle rigide regole dell’atleta, a volte esagerava nel mangiare, si
fumava qualche sigaretta di troppo; ma che volete farci, lui era così. Poteva
levarsi, a trent’anni, altre soddisfazioni; e invece, l’anno dopo il solito
angelo della sfortuna lo fa cadere in maniera disastrosa a due passi da casa
sua, alle Croci di Calenzano. Si ferì in maniera grave alla testa fratturandosi
alcune vertebre. Dopo un periodo d’inattività, tornò alle gare, ma non era più
il Nencini di prima. Abbandonò nel 1965 dopo 24 corse vinte e sei maglie azzurre
tornando nella sua campagna. Per un periodo direttore sportivo di squadre professionistiche,
nel 1980 a soli 49 anni l’implacabile angelo nero si rifece vivo sotto forma di
un male incurabile. Sepolto a Barberino, fu costruito un monumento alla Futa,
la cui cronoscalata è a lui dedicata. Nato il 1° di Marzo, se ne andò il 1° di
Febbraio, date che sono un segno del destino, perché lui era nato per diventare davvero un numero
Uno. L’angelo nero aveva finalmente
vinto, e in qualche modo lo perseguitò anche dopo la morte, facendo dimenticare a tutti la sua casa natale. Abbandonato proprio sotto la diga di
Bilancino, il suo borghetto è diventato oggi un “paese fantasma”. Speriamo che l’angelo bianco ci aiuti almeno a
ricordare in eterno la sua storia di grande uomo e di grande Campione.
"Galletto, il giornale del Mugello", 4 Marzo, 2017
"Galletto, il giornale del Mugello", 4 Marzo, 2017
Fabrizio Scheggi è nato a Firenze, vive nella frazione
di Santa Maria a Vezzano (comune di Vicchio-Firenze). Vincitore di concorsi e
premi letterari, è’ scrittore, pittore, poeta. Appassionato ricercatore di storia medievale e locale, scrive per
giornali, riviste e siti web. Ha pubblicato diversi libri, tra cui si ricorda
uno studio sulla poesia nel mondo rurale (Ricordi del mondo contadino- 2005), un
libro di racconti brevi “La panacea nella pigola” (2011) e un
originale saggio storico dal titolo “Il Mugello nel Libro di Montaperti” (2016).
Nel 2017 è stato tra i coautori del libro celebrativo “Giotto, la casa, il colle di
Vespignano” pubblicato nei 750 anni dalla nascita del Maestro.
Socio fondatore dell’Associazione artistico-culturale “Dalle terre di Giotto e dell’Angelico” (che gestisce la casa di Giotto), attualmente riveste la carica di Vicepresidente.
Socio fondatore dell’Associazione artistico-culturale “Dalle terre di Giotto e dell’Angelico” (che gestisce la casa di Giotto), attualmente riveste la carica di Vicepresidente.
immagine grafica: Elisabetta Nencini
Commenti
Posta un commento