Da EUROSPORT un bellissimo tributo a Gastone Nencini nel giorno della sua nascita
Gastone Nencini triste e felice: il discesista che sfidò i fenomeni del ciclismo
DI FABIO DISINGRINI
1 MARZO 2019
DA EUROSPORT
Gastone Nencini è il più valoroso discesista che il ciclismo conosca. Vinse il Tour de France e un Giro d’Italia, ne perse un paio sfidando generazioni di fenomeni: prima Coppi e Fiorenzo Magni, poi Gaul e Anquetil. Nato il 1° marzo nella Toscana di Bartali con un destino da eroe romantico, vincere e perdere soffrendo, tra le curve dei giorni tristi e felici.
Le grandi imprese di Gastone Nencini venivano dal fumo della sua sigaretta. Tirava ampie boccate la sera prima della corsa e ne fumava un'altra il giorno dopo, sedendosi in maglia rosa sulle Alpi, ai traguardi del Tour de France. In sella alla storia, con la fermezza del miglior discesista di ogni tempo, ha sfidato due magnifiche generazioni di ciclismo: quella di Fiorenzo Magni e Fausto Coppi, l’altra di Charly Gaul e Jacques Anquetil.
Nencini aveva un volto andaluso, come quelli di Gimondi o Nibali, di quelli che non s’arrendono mai. Adriano De Zan disse che era un uomo definitivo e che le sue parole potevano essere taglienti come gli spari nei film western: «Io digerisco quello che voglio, anche i chiodi» sono le più famose. Dure come l’estetica della strada e la sua pellaccia da discesa, impavide come la scorza semantica del suo ciclismo.
l vincitore morale del Giro d’Italia
Corridore passionale sulle vie dei miti, Nencini ha “moralmente” vinto due Giri d’Italia: nel 1955 è ancora in maglia rosa giù dalle Alpi, ma nella penultima frazione fora sulla ghiaia, i vecchi Coppi e Magni s’alleano, l’attaccano e gli portano via tutto: tappa a Fausto, la sua ultima al Giro, corsa al Leone delle Fiandre che ha dieci anni in più (trentacinque), è toscano come lui e gli cederà una parte dell’eroico epiteto.
" In questo modo, col trionfo dei vecchi idoli, e il pianto di Gastone Nencini che aveva vinto inutilmente le orrende Dolomiti, e addosso non aveva più la sua maglia rosa - non era stato vero nulla, salvo la disumana fatica - il Giro è finito. Milano ha reso giusti onori a tutti, e anche il ragazzo fortissimo e candido è stato a lungo acclamato, ma non sorrideva; sembrava, per la prima volta, pensare cose più grandi, più misteriose del Giro. (Anna Maria Ortese, "Il bravo ragazzo che stava per vincere" , L'Europeo, 12 giugno 1955)"
Nel 1960 infatti, Nencini è già il Leone del Mugello e si piega sul manubrio per scalare il Terminillo senza cedere a Charly Gaul, l’Angelo della montagna, poi si getta in picchiata con Guido Carlesi (altro toscano) e traccia curve talmente ardite da staccare anche le moto sul traguardo di Rieti. La volta dopo, a Sestri Levante, batte perfino Van Loy con un colpo di reni che scuote la strada di un Giro bellissimo.
Il 1960 fra Giro e Tour: giorni tristi e felici
Gaul è disperso, ma Anquetil è troppo forte a cronometro e così astuto quando, nell’ultima discesa della Bormio-Milano, si mette in scia a Carlesi che disegna i tornanti. Nencini ha già vinto il la Corsa Rosa nel 1957 contro il furente Gaul e l’acerrimo Boblet, ma sul primo podio dei Sessanta Maitre Jacques lo precede di appena 28 secondi. Nencini aspira la sua sigaretta e il fumo ha sempre il colore delle guglie del Duomo, però il gusto è diventato amaro. Vincerà il Tour de France nello stesso anno: quello della beffa di Anquetil, del tragico Riviére, delle audaci discese per cui sarà sempre ricordato.
Quarto dei sette vincitori italiani del Tour dopo Ottavio Bottecchia, Gino Bartali e Fausto Coppi. Alla Grande Boucle del 1960, Nencini trova un altro francese formidabile contro il tempo: Roger Rivière, il re della pista, detentore degli ultimi due record dell’Ora al Vigorelli di Milano (1957 e 1958). Nencini attacca in discesa dal Perjuret, Rivière lo insegue e morde il freno, ma quando sbaglia una maledetta curva, finiscono il suo Tour e la sua carriera. È un giorno tragico che consegna a Nencini la maglia gialla: di ritorno a casa dagli Champs Élysées, il Leone del Mugello è portato in trionfo fin sotto il David di Michelangelo.
Il Leone del Mugello: un toscano di ferro
Nato il 1° marzo 1930 dal sale di una terra che ha dato tutto al ciclismo: le imprese senza tempo di Gino Bartali e Fiorenzo Magni, la sapienza sportiva di Alfredo Martini, il cuore matto di Bitossi, le lezioni classiche di Bartoli e Ballerini, le maglie iridate di Bettini, i venti spostati da Cipollini. Nato e morto in Toscana, a Firenze, un mese prima del suo cinquantesimo compleanno. Aveva un sorriso bellissimo. Le donne lo amavano e lui ne amò una sola: la moglie Maria Pia. Votato all’eroismo, gettava il cuore oltre l’ostacolo. Quando l’opera della bici è niente senza la greve eleganza di un campione così.
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