LA CASA DI GASTONE NENCINI
LA CASA DI GASTONE NENCINI
Sai
Betty, questa casa l’ho costruita io insieme a mio padre, tuo bisnonno; pietra
su pietra scavata e portata dalla Sieve con una carriola… ero una bambina.
Fuori della porta, seduta su una sedia, come le donne usavano fare in campagna dopo aver sbrigato le faccende domestiche, mia nonna Giulia si raccontava, e benché fossi molto giovane, percepivo dalle sue parole e dal suo sguardo pudico di sentimento, la nostalgia per il padre, e al contempo l’orgoglio per aver contribuito a costruire un tetto per la sua famiglia, solido e forte, perché quella casa era passata indenne dai bombardamenti delle due Grandi Guerra. Sì, perché la mia nonna era nata nell’anno 1900! Mentre parlava, guardavo il muro intonacato di bianco alle mie spalle e le persiane verniciate di verde: il terrazzino in pietra serena, perfettamente centrato alla facciata, adornato con rigogliose piante di gerani, creava riparo al portone in legno verniciato con uno smalto di colore marrone con apposti due battenti in bronzo raffiguranti la testa di un leone. Un pomello di ottone, sempre tirato a lustro, invitava ad aprire la porta e varcare la soglia di quella casa la cui chiave era sempre inserita nella serratura, pronta ad essere aperta a chiunque volesse entrare, perché un pasto, o un bicchiere di vino, non era mai negato a nessuno. In silenzio, contemplavo le sue parole: non riuscivo ad immaginare quella grande casa, costruita su due livelli edificata con le pietre estratte dal letto del fiume che scorreva proprio sotto l'abitazione, dove mio padre Gastone, da ragazzo, per emulare e superare l’ardire di alcuni adulti del paese e dimostrare il suo coraggio, in inverno, si tuffava a volo d'angelo dal ponte nel turbinio delle acque gelide, schivando al millimetro i grossi massi, di cui affiorava solo la punta.
È
trascorso molto tempo, dall’ultima volta che sono stata a Bilancino dove ho
vissuto i miei primi due anni di vita e dove con la mia famiglia, fino al 1980,
l’anno della scomparsa di mio padre, una domenica sì e l’altro no, andavamo con
entusiasmo a trovare la nonna e a trascorrere felicemente le nostre vacanze estive:
la natura meravigliosa della campagna mugellana, nella fantasia di noi bambini,
offriva il divertimento di un parco giochi, naturale e sorprendente, poiché tanti
erano i luoghi dove potevamo liberamente dare sfogo alla nostra immaginazione.
Adesso,
quello che rimane della ridente abitazione - espropriata quando iniziarono gli
imponenti lavori della diga di Bilancino-, immortalata nelle cartoline postali
o sui giornali di tutto il mondo come la casa del campione di ciclismo, Gastone
Nencini, è avviluppata dal groviglio selvatico della vegetazione, ormai padrona
incontrastata e incontrollata di quelle mura, e dal ferro arrugginito di una
rete metallica che impedisce l’accesso. Un prato verde, delineato da grandi
alberi, gli stessi che una volta ombreggiavano la nostra abitazione, ha sostituito il
letto del fiume, il cui corso è stato deviato per riempire il bacino
artificiale, il più grande d’Europa. Della casa di mia nonna non esiste più il
tetto, né il piccolo e romantico terrazzo, come inesistente è il portone,
conseguenza dello scempio del trascorrere del tempo e della barbarie dell’uomo.
Una cosa però è rimasta visibile di quella costruzione: la sua anima, che
smembrata, derubata, spogliata nella sua dignità, mostra il cuore di chi con
sacrificio, fatica e dedizione ha innalzato con milioni di pietre la casa della
sua vita, diventando, inconsapevolmente, la struttura portante di
quell’edificio, all'interno del quale ha fatto nascere i suoi figli, visto
crescere i suoi nipoti ed abbracciare la sua discendente terza generazione. E
quello che a me sembrava impossibile, si è palesato ai miei occhi spaccandomi
il cuore dalla commozione: quel tessuto di pietre, un tempo nascosto dal
candore della malta, vestito immacolato di quelle mura che hanno visto nascere
e diventare uomo e campione mio padre e
accogliere un cosmo vario di persone proveniente da ogni dove, mi ha fatto
ancor più essere orgogliosa delle mie origini, la cui storia è scritta su quei
massi, ancora, misteriosamente, pregni dell’odore di borraccina come se fossero
stati appena estratti dal fiume.
Fingendo distrazione, il custode - colui che mi ha permesso di entrare nell’area sorvegliata chiusa al pubblico-, mi ha dato l’opportunità di allungare un braccio al di là della barriera e, tra i tanti similari ciottoli caduti dalla facciata in rovina, accuratamente ne ho scelto uno da portare via, a casa, con l’assenso tacito di chi, presente ha compreso il mio gesto.
Elisabetta Nencini
Firenze, 19 novembre 2020
[…] A
Bilancino ci siamo fermati a casa di Gastone, dalla sua mamma. La casa di
Nencini era letteralmente invasa dai vicini. I fratelli di Gastone, Brunetto e
Tiziano, erano andati a Ravenna e mamma Giulia era in casa sola e aveva saputo
la notizia pochi minuti avanti dalla radio. Mamma Giulia, che ci aveva già
conosciuti quando il suo Gastone era ancora dilettante, ci ha accolti con gli
occhi pieni di lacrime e non ha trovato parole per dirci quanto grande era la
sua commozione. La buona donna ci ha parlato di Gastone, ha voluto mostrarci,
le lettere che il ragazzo le ha mandato in questi giorni. Ha voluto ricordarci
quando, dopo la vittoria di Roma, il suo ragazzo dedicò a lei il successo.
Era
con noi un amico che, rivolto alla mamma di Gastone, ha detto:<< Signora,
Gastone può vincere il Giro e portare al lei quella maglia rosa>>. Mamma
Giulia lo ha guardato incredula e ha risposto: << Sarebbe troppo bello. A
me basta che torni a casa in salute>>.
N.D., Il Nuovo Corriere – La Gazzetta, 30 maggio 1955
Bellissima
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