GASTONE NENCINI LA FORZA DI UN CARATTERE
GASTONE NENCINI
LA FORZA IN UN CARATTERE
di Elisabetta Nencini
La determinazione e il coraggio di mio padre, Gastone Nencini, con le quali era capace di compiere imprese leggendarie, risalivano al tempo in cui egli si opponeva con risolutezza al volere di un genitore autoritario, il quale gli negava di correre in bicicletta, affinché lo seguisse nel suo lavoro di commerciante di bestiame; sognare un destino diverso da quello che la vita ti aveva riservato, all’epoca, era un privilegio concesso a poche persone: “Levati codesta idea dalla testa. Di campioni come Bartali e Coppi, ne nasce uno ogni cent’anni, il prossimo non sarai certo tu”, aveva sentenziato Attilio, mio nonno. Tuttavia, mio padre, carattere indomito e risoluto, non s’intimorì del diniego indiscutibile del padre; andò dai renaioli, uomini forti, che estraevano ghiaia e sabbia dal greto della Sieve e, con la potenza di un caterpillar, lavorò con impeto per realizzare il suo sogno. Talvolta, per guadagnare qualche lira in più, incurante del rischio a cui sottoponeva la propria incolumità, coraggiosamente, si legava con una fune ad un albero per poi immergersi nelle acque vorticose del fiume in piena e, come un soldato che pianta la sua bandiera sulla terra conquistata, mio padre, come nessun altro renaiolo osava fare, bloccava sul fondo melmoso dell’acqua turbinante una pertica per marcare il proprio territorio, certo che l’indomani, quando il letto del fiume ritornava al suo corso naturale, avrebbe trovato un bel mucchio di rena da spalare. Così, con non poca fatica, si guadagnò i soldi per la sua prima bicicletta da corsa, una Pinzani di seconda mano.
Passò del tempo prima che mio nonno si rendesse conto che suo figlio Gastone non avrebbe mai intrapreso il suo mestiere. Lo capì un giorno dal barbiere, quando aspettando di radersi, prese dal portariviste il quotidiano La Nazione per dare un rapido sguardo alle notizie del giorno. Con stupore, all’interno della pagina sportiva, vide stampato in neretto il nome di un certo Gastone Nencini, segnalato dal cronista sportivo come la nuova promessa del ciclismo toscano. L’articolo che seguiva raccontava di un giovane corridore, che pur avendo forato tre volte durante la corsa, arrivava al traguardo col cerchione nudo e completamente deformato: malgrado ciò, aveva fatto tabula rasa perché l’avversario più vicino era ad oltre cinque minuti di ritardo. Fu allora che mio nonno comprese il motivo per cui, nelle piazze affollate della Toscana nel giorno di mercato, dove era solito svolgere il suo lavoro di "sensale", le persone lo guardavano ammiccando con sorrisi compiaciuti e pacche amichevoli sulla spalla.
Quando,
quel giorno, mio nonno tornò a casa, con aria intransigente, domandò a suo
figlio se era iscritto ad una società ciclistica: “No babbo, come potrei non ho
neanche la bicicletta”, rispose mio padre, che era solito nascondere il suo
mezzo da un amico. Mio nonno sapeva benissimo che mentiva, ma, nonostante il
temperamento severo, stranamente non disse niente a quel figlio a cui aveva
scelto di dare alla nascita un nome che ne identificasse un carattere, come i protagonisti
delle sue appassionate letture di libri storici, dai quali aveva attinto
ispirazione per chiamare il suo terzogenito Gastone. Alla domanda e alla risposta,
seguì il silenzio, dopodiché mio nonno voltò le spalle a mio padre e senza
proferire parola uscì di casa.
Non so quante altre volte, come quel giorno, i loro sguardi fieri si sono incontrati nel segreto dei loro pensieri, una cosa è certa però, nessuno di loro ha avuto la soddisfazione di dimostrare all’altro il proprio orgoglio di uomo, come spesso accade nel rapporto tra padri e figli.
A soli cinquantuno anni, nel 1954 mio nonno chiuse gli occhi, alcuni mesi prima di vedere il proprio ragazzo indossare, per la prima volta nella sua carriera agonistica, la maglia rosa.
Non seppe mai che suo figlio Gastone, contrariamente alle proprie attese, diventò uno dei più forti ciclisti italiani di tutti i tempi e che, come Bartali e Coppi, vinse le corse più importanti al mondo, entrando di diritto nell’albo d’oro dei ciclisti leggendari.
Elisabetta Nencini
Firenze 1 Marzo 2022
[…] Il vantaggio al traguardo è sufficiente per spiegare il valore della sua grande impresa: pensiamo un po’ ad una fuga solitaria di 110 km.! Dopo l’arrivo, qualcuno diceva che Nencini è più di un corridore, più di una promessa, una “cannonata” hanno detto. Beh, la parola è un po’ grossa: tuttavia, per un’impresa del genere, non ci sembra davvero uno sproposito.
Giuliano Mazzoni, Eccezionale fuga di oltre cento chilometri brillantemente conclusa da Gastone Nencini, La Nazione, 3 agosto 1950.
[...] Quel mazzo di fiori, offertogli come vincitore, e del quale altri si disfà subito dopo scattate le fotografie, Nencini lo conservò fra le braccia e, appena in albergo, prima ancora di recarsi sotto la doccia, lo consegnò ad un uomo di fiducia, perchè lo portasse nella chiesa più vicina, su un altare, in omaggio e memoria del padre, morto un mese fa.
Vasco Pratolini, Il segreto è durare, Nuovo Corriere, lunedì 30 maggio 1955 (38° Giro d'Italia, 14 maggio-5 giugno 1955).
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Nella fotografia, con indosso la maglia della Pinzani, Gastone Nencini assieme al padre Attilio, il primo a sinistra.
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