GODDET PARLA DI NENCINI
GODDET PARLA DI NENCINI
È DIVENTATO SIMPATICO AI FRANCESI
In pochi giorni Gastone ha conquistato tutta la Francia, e quello che conta in modo particolare, anche il <<patron>> del Tour, Jacques Goddet. Ecco quello che il direttore dell’Equipe ha scritto sul suo giornale l’indomani della prima tappa dei Pirenei.
Un solo colle, ed ecco che il Tour ha assunto un’altra fisonomia. Non c’è stata battaglia su questo versante montano. Tuttavia, giunti in cima, sapevamo molte cose che apparivano ancora incerte ad Angelès-Gazo. La battaglia che faceva perno sul versante in discesa in direzione della valle di Gave, diretta, decisa, comandata dall’indomabile Nencini, anelante – del resto in maniera ben giustificata – a riprendersi la maglia gialla ha chiarito molti dubbi. Così i problemi del Tour si sono presentati in una loro essenziale chiarezza alla luce dei fatti e dei giudizi, facili da formulare anche se gli scarti in classifica sono stati esigui.
L’orientamento generale è ora quello di precisare che il Tour 1960 è diventato un match Nencini-Rivière, arbitrato dai belgi Adriaenssens e Planckaert. Questa è l’impressione, del resto, ricavata dagli avvenimenti svoltisi a cavallo dell’Aubisque. È saggio tuttavia, nel momento in cui ci accingiamo a ripartire per una tappa di montagna di valore assoluto, che niente è definitivamente finito fin tanto che si deve salire, e che comunque è più prudente arrivare fino a Luchon per sapere non ci sia nessun altro protagonista destinato ad aggiungersi ai due di testa.
In verità ci sembra che quest’anno si debba abbandonare ogni similitudine coi voli d’angelo e coi colpi d’ala delle aquile, per rifarci ad un’altra immagine, quella del re degli animali. Nencini non può non essere paragonato se non col leone, superbo e generoso. Giusto. La sua fenomenale potenza è impegnata dal desiderio bruciante di regnare, di battersi, di divorare l’avversario.
Il toscano dalla nobile maschera non ha avuto timore alcuno di dare inizio e di spingere a fondo un’azione che in ogni caso non gli avrebbe apportato sensibili vantaggi rispetto alla classifica, tenuto conto del fatto che gli sarebbe bastato - per raggiungere un risultato estremamente positivo – mantenersi tra i 24 che seguivano i fuggitivi Battistini (stupefacente), Rostollan e Manzaneque.
Si è battuto con coraggio, ma ha evitato di battersi troppo presto. Secondo la sua abitudine, Nencini si è accontentato di operare un formidabile allungo soltanto a 800 metri dalla vetta, giusto il tempo per gettarsi – separato dai suoi avversari – verso la discesa, suo terreno preferito dove egli fa strabiliare per l’audacia, la destrezza e la potenza.
Il fatto che Roger Riviere e il sorprendente Planckaert – guarda, un fiammingo che va in discesa! – siamo riusciti a raggiungerlo, non l’ha molto impressionato. Gli ultimi quaranta chilometri della tappa - dopo Laruns – presentavano per il nostro potentissimo uomo, il terreno ideale, il declivio dolce grazie al quale, senza attender il punto limite della ruota libera, si può azionare un rapporto che dia la massima velocità.
Un baccanale sfrenato, condotto da Nencini incurante della mancanza di appoggio di Rivière e Rostollan, che facevano il loro gioco per una posizione di attesa, e di Battistini ormai raggiunto e un po’ affaticato.
Lo scarto tra Nencini e la maglia gialla Adriaenssens, impegnato in un inseguimento epico, è rimasto per lungo tempo sotto il minuto. È passato da uno a due, soltanto negli ultimi venti chilometri. Mal secondato, ma irremovibile nel suo sforzo erculeo, l’italiano infine è riuscito a piegare l’avversario.
Ve lo ripeto: sono le impressioni di un giorno, di una sola fase di corsa. Ed è soltanto dopo molte ore di sforzi continui in montagna, che si ha il diritto di pronunciare dei giudizi definitivi. C’è ancora da aggiungere che questi esseri attingono ai limiti della resistenza fisiologica, per cui la situazione può cambiare totalmente all’indomani.
Queste precauzioni oratorie permettono di dire che Nencini e Riviere sono stati ieri i veri padroni della loro squadra senza tergiversazioni. Non è stato soltanto il loro talento di discesisti che li ha messi in evidenza senza rivali di squadra Baldini e Anglade. Come sapete infatti, il pesante Baldini e il sottile Anglade non si sono certo scannati sia sul Soulor che sull’Aubisque faticando a tenere la loro posizione (soprattutto Anglade) in coda al gruppo dei 23 uomini che seguivano i fuggitivi Battistini e Rostollan.
Il coscienzioso Henry ha messo l’anima per ritornare una ventina di volte su questo gruppo non si trova certamente nelle condizioni migliori per affrontare la successione di Tourmalet-Aspin- Peyresourde.
Già nella discesa dell’Aubisque Anglade ha pedalato per contribuire all’inseguimento di Adriaenssens a Nencini. Ma è un fatto che l’alleanza (legittima per l’occasione) di Anglade e Mahè con Adriaenssens e Planckaert, più la collaborazione di Geldermann, si sia infranta sulla roccia di Nencini.
𝐉𝐚𝐜𝐪𝐮𝐞𝐬 𝐆𝐨𝐝𝐝𝐞𝐭, direttore del Tour de France
Il Campione, 11 luglio 1960
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Al Tour de France 1960, Gastone Nencini indossa la maglia gialla il primo giorno, la perde il terzo, e il decimo giorno di corsa, nella prima tappa pirenaica, la riconquista per portarla fino a Parigi. Ventuno tappe, 4173 Km, ventidue Colli da scalare, un solo giorno di riposo, Nencini vince la quarantesettesima edizione del Tour de France alla media record di 37,210 Km/h, indossando la maglia gialla per ben quattordici giorni. Una vittoria, quella di Gastone, lottata ogni giorno, colpa di una scelta tecnica ambigua del CT Binda, che costringe il corridore toscano a un dispendio di energie supplementari per tenere testa a una squadra disorganica. Solo la sua eccezionale potenza fisica e saldezza morale scongiurano l’insuccesso dell'atleta tricolore, che in giallo al Parco dei Principi, con onore, dopo Bottecchia, Bartali e Coppi, riporta il ciclismo italiano sul tetto del mondo.
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